“La Città Satellite, un’ottima meta per portare i bambini a giocare e per godere di una vista appagante”, queste le parole nostalgiche dei nonni brianzoli quando si rivolge loro la domanda: “ma cos’è stata Consonno?”.
Parlare al passato purtroppo non è errato, dato che tutti i buoni propositi di Mario Bagno, che aveva acquistato e smantellato il vecchio borgo al fine di creare una nuova Disneyland, si sono abbattuti contro la città proprio come le pietre della frana che l’hanno isolata.

Consonno - Wikipedia

Tuttavia è noto che l’uomo tenda a riscontrare del fascino sublime anche tra le rovine, dunque nulla esclude di imboccare i tortuosi tornanti e spendere un paio d’ore per visitarla.

Nel tratto di strada che precede la destinazione l’auto sembra fendere la fitta nebbia che abbraccia il paesaggio e il rombo del motore accompagnare il muggito delle mucche che brucano nei campi recintati.

Si giunge così all’inizio di una stradina sbarrata, lungo la quale è necessario proseguire a piedi, verso un percorso che sembra tutt’altro che invitante.
La vista delle vette innevate e delle sponde del lago di Lecco fa tuttavia dimenticare il fango sotto le scarpe e i ripidi dirupi laterali, sino a che non si raggiunge l’ultima curva, la quale svela cosa effettivamente rimanga della Las Vegas brianzola.

Degli antichi edifici non resta infatti che il loro scheletro di metallo e cemento, reso meno cupo dai variopinti graffiti che li decorano quasi per intero, e che ci testimoniano di non essere state le uniche visitatrici.
Ad accogliere i più avventurosi, dove un tempo svettava lo striscione “a Consonno il cielo è più azzurro”, ci pensa il vecchio minareto, che si erige come un guardiano impassibile che, per quanto sembri spaventare i suoi ospiti, è forse lieto che la sua storia non vada completamente dimenticata.

Seguendo la strada principale, tra una struttura recintata perché pericolante e vetri di finestre rotte che giacciono sul pavimento, si giunge ad una piazzetta, un tempo certamente protagonista di incontri tra amici e famiglie, ma di cui oggi non restano che il grigiore, una vecchia fontana avvolta da piante selvatiche e un’insolita pagoda cinese.

Tutti i segreti della città fantasma

Risalta nella nebbia il tricolore, il quale esalta la città e i caduti olginatesi Gerolamo, Ernesto, Carlo, Paolo e Luigi Gilardi, i cui nomi sono affissi sulle mura laterali della piccola chiesa della città, scampata alla furia imprenditoriale di Bagno, e nella quale, nel 1958, soggiornò e impartì benedizioni l’allora arcivescovo di Milano.

Ogni elemento presente sembra dunque invitare al ricordo, e per quanto addentrarsi tra queste vie, accompagnati dal solo miagolio di qualche gatto randagio, faccia immaginare di essere gli unici superstiti umani in un paesaggio quasi apocalittico, varie associazioni brianzole contribuiscono a tenere ancora in vita tale “città fantasma”, e ne sfruttano le potenzialità organizzandovi competizioni di skate e simpatiche gare di nascondino note in tutto il mondo.

la città fantasma

consonno stories

                                                                                                a cura di Giorgia e Vittoria

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