Matteo Barattieri – in memoria
Sitografia:
https://www.ilgiorno.it/monza-brianza/cronaca/matteo-barattieri-blondie 1.8019646
https://www.ilgiorno.it/monza-brianza/cronaca/funerali-matteo-barattieri 1.8160346
https://www.ilgiorno.it/monza-brianza/cronaca/matteo-barattieri-torna-a-casa 1.8144414
Ho avuto modo di lavorare a stretto contatto con Matteo Barattieri nell’estate del 2003, quando mi fu affidato il coordinamento del Centro Estivo Comunale di Carnate. Per un paio di settimane fummo soli, lui ed io, a badare ad una ventina di bambini della scuola elementare. Matteo, in qualsiasi condizione meteorologica, arrivava tutte le mattine in bicicletta, con uno zainone in spalla pieno di attrezzi e attrazioni che aveva in mente di proporre ai bambini. Una mattina ebbe una foratura sulla strada per Carnate: arrivò in ritardo, raccontandomi che era stato costretto a pompare la gomma bucata ogni cinquecento metri.
Da educatore, ho imparato molto da Matteo Barattieri. Soprattutto dal suo modo di relazionarsi ai giovani. Matteo prendeva molto sul serio i bambini, trattandoli innanzi tutto come persone. Li stava a sentire e spesso li affiancava nei loro giochi con pazienza e curiosità, cercando di studiare i loro interessi. Alla fine della giornata, mentre i genitori arrivavano alla spicciolata a riprendersi i figli, io e Matteo scambiavamo qualche parola tra adulti, cosa che non succedeva molto spesso in quei giorni. «Cosa ne pensi di queste carte dei Pokemon?» mi chiedeva. Io non sapevo esattamente cosa rispondere: in effetti non me n’ero interessato. «Perché a loro piacciono molto. Non sono fatte male.»
Talvolta, nelle camminate nei campi e nei boschi attorno a Carnate, trovavamo un uccellino morto per terra. Qualsiasi educatore avrebbe intimato ai bambini di allontanarsi perché i cadaveri degli animali portano malattie. Non Matteo: «Ah! Una cincia mora!» e da quel prezioso ritrovamento cominciava una lezione che apriva un mondo ai bambini, che lo ascoltavano a bocca aperta, come, del resto, facevo anch’io.
Il pranzo in mensa era sempre un bel momento. Spesso Matteo, tra primo e secondo, si alzava da tavola e vagolava meditabondo, fino a quando non alzava la mano e, solo ottenuto un silenzio totale, faceva una delle sue riflessioni sulla mattinata trascorsa. Non erano sempre rimproveri, erano anche lodi compiaciute per un’attività riuscita particolarmente bene o per un gesto di gentilezza verso un compagno, che aveva avuto modo di osservare in silenzio, senza farlo pesare. Mi ricordo alcune delle sue raccomandazioni, mai banali, sempre oltre lo stereotipo del rimprovero: «Oggi ho visto molti grandi prendersela con i più piccoli: questo non deve succedere. Ma anche i più piccoli non devono approfittarsene e dare fastidio ai grandi».
Dopo pranzo i bambini lo reclamavano per arbitrare la partita di calcio quotidiana. Tirava fuori il fischietto dallo zaino e conduceva la partita con trasporto e gravità. Quando veniva commesso un fallo faceva un’espressione indignata, quasi offesa: se ne stava lì in mezzo al campo e puntava con l’indice la zolla da dove si sarebbe battuta la punizione, indifferente alle
proteste dei giocatori, rappresentante della giustizia contenuta nel regolamento di gioco.
Diceva spesso ai bambini: «Il gioco è una cosa importante. Ci sono studiosi che ci hanno scritto sopra dei libri grossi così».
Una volta, contro ogni norma di sicurezza, insegnò ai bambini ad accendere il fuoco. Portò un gruppetto dei più grandi su un’area cementata del giardino e accesero un piccolo falò. Il bidello della scuola mi si avvicinò divertito: “Oggi accendiamo anche il fuoco, eh?”, ma nessuno si azzardò ad interrompere quel rituale, che aveva un senso profondo, quasi di iniziazione.
Abbiamo saputo della sua morte, come tutti, dalla rete. Investito da una macchina, mentre camminava lungo una statale a Nashville, dopo un concerto dei Blondie, che seguiva con l’entusiasmo, appunto, di un bambino. Aveva collaborato anche con la nostra scuola, accompagnando un gruppo lungo la ciclabile del Lambro qualche anno fa. Sicuramente qualcuno dei nostri studenti non si è dimenticato di quell’educatore dallo sguardo di ghiaccio, ma dai modi gentili.
Prof. C