Il Parco di Monza è un luogo che offre la possibilità di passare momenti di relax immersi nella natura.

Durante la stagione estiva ci si può rinfrescare all’ombra delle piante che in autunno si tingono di giallo, arancio e rosso fuoco. Secondo gli esperti il foliage del Parco di Monza è uno dei dieci migliori al mondo da poter osservare.

Mulino del Cantone - Wikipedia

Nel Parco di Monza, oltre alla Villa Reale, ci sono numerosi altri edifici e costruzioni minori, alcuni ben tenuti e ancora oggi utilizzati, mentre altri sono in stato di completo abbandono.

Una di queste costruzioni è il Mulino del Cantone che si può raggiungere percorrendo il viale omonimo, una traversa del viale Cavriga, oppure percorrendo la breve discesa sulla destra della Villa Mirabello.

Il mulino fu realizzato nel 1840 sulla base del progetto dell’architetto e ingegnere Giacomo Tazzini, allievo di Luigi Canonica a cui subentrò nel 1824.

Proprio a Luigi Canonica infatti, architetto e urbanista svizzero attivo prevalentemente in Lombardia e a Milano e autore tra l’altro del Foro Buonaparte e dell’Arena civica di Milano, nel 1805, fu affidato l’incarico di realizzare un Parco accanto alla Villa Reale di Monza con lo scopo di farne una tenuta e riserva di caccia.

Egli con l’aiuto di collaboratori e assistenti, tra cui appunto Giacomo Tazzini, progettò un Parco di 700 ettari (7 kmq) incorporando un tratto del fiume Lambro, aree boschive, ville settecentesche, cascine e mulini e per mettere in comunicazione tra loro i punti principali, realizzò una serie di viali rettilinei formando delle viste prospettiche, dette ‘canocchiali’, verso le prealpi lombarde.

Ma ritorniamo al Mulino del Cantone.

Dagli archivi dell’antico catasto Teresiano risulta che l’edificio, in origine di proprietà dei conti di Monza Giacomo e Giuseppe Durini, sia stato registrato come casa d’affitto con mulino.

Come mulino vero e proprio rimase però in attività per un tempo abbastanza breve, infatti andò in disuso già agli inizi del ‘900 diventando la sede dei Carabinieri Reali.

Dal 1937 l’edificio è di proprietà dei Comuni di Monza e Milano, ma dopo un ultimo restauro nel 1974 oggi versa in stato di abbandono.

La struttura del mulino è costituita da due blocchi, in mezzo ai quali scorreva la roggia derivata dal Lambro, raccordati da una facciata in stile neoclassico. Le quattro colonne sormontate da una trabeazione con metope e triglifi e il timpano sembrano quasi voler nascondere la modesta funzione a cui era destinato l’edificio.

Il corpo principale è composto da pilastri in muratura e da una tamponatura in mattoni pieni intonacati in giallo, il solaio è in legno sorretto da travi, mentre il tetto ha una struttura portante in legno con copertura in coppi.

Il mulino, a cui si accedeva dalla parte posteriore dell’edificio e di cui purtroppo non rimane più nulla dei manufatti meccanici che lo azionavano, si trovava al piano terra ed era costituito da due macine azionate ciascuna da una ruota in legno.

Nella parte posteriore dell’edificio si erge una torre realizzata in mattoni rossi dotata di merletti e di una pregevole bifora: come si spiega questa particolare presenza in un edificio destinato ad uso mulino?

In effetti il Mulino del Cantone fu costruito sulla base di una struttura preesistente e la torre è una vera torre militare, risalente al XII secolo, che il Tazzini volle mantenere come elemento di arredo. Per fortuna dovremmo dire, perché oggi la torre rappresenta una delle poche testimonianze medievali dell’intero territorio monzese.

La torre infatti apparteneva a un avamposto difensivo della città di Monza che correva lungo tutto il Lambro fino all’attuale Largo Mazzini dove sorgeva l’antico castello visconteo.

Purtroppo le attuali condizioni del mulino sono di assoluto degrado, ma raggiungerlo ne vale la pena perché oltre all’importante testimonianza storica, il lungo tempo di inutilizzo e abbandono ha consentito alla natura di riappropriarsi dell’intera area circostante e quindi non è poi così difficile incontrare qualche animale selvatico in libertà.

Quando abbiamo visitato questo luogo, siamo rimaste affascinate dal silenzio e dalla solitudine che lo circonda. Fermandoci per qualche istante davanti al mulino, abbiamo provato a immaginare i volti e le storie delle persone che qui vivevano e lavoravano. Poi chiudendo gli occhi ci è quasi sembrato di sentire il gorgoglio della roggia che un tempo faceva girare le ruote azionando le macine.

Quando siamo ripartite per tornare verso casa abbiamo parlato dell’importanza di questo luogo che, seppur abbandonato e dimenticato, è testimone di una parte importante della storia della nostra città e di come sarebbe bello recuperarlo facendolo tornare al suo antico splendore.

Batzu-Seveso

Sitografia:

Autori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *